L’archeologia marina nelle Bocche di Bonifacio

ha svelato una ricca storia romana che si è sviluppata in questa regione affacciata sul Mediterraneo. Qui sono emerse interessanti scoperte archeologiche sommerse, che offrono un’inedita prospettiva sulla vita marittima e l’importanza strategica di questa zona durante il periodo romano.

foto di Adriano Meloni
foto di Mauro Muzzu
foto di Francesco Pisciottu
foto di Freddi Cardi

Onerarie nelle Bocche Tra archeologia e storia il mare della Gallura al tempo dei romani.

 “La nave, calata la grande vela, si riscuote e affronta le onde cavalcandole alla ricerca di una rada, di un riparo. E’ una lotta dura, il ritmo della voga diviene l’unica voce di bordo e i remi battono e frangono assieme alle onde. La trireme, finalmente si addentra, con una manovra non facile, nel fiordo di Elefantaria (Porto Pozzo). E’ un mare pericoloso questo di settentrione, lo sanno i gregales di bordo, qualcuno ricorda di una grande e forte navis oneraria, quasi leggendaria affondata in quei mari di procellae molto più di cento anni prima. Un altro marinaio col cuccullus impermeabile calcato sulla testa, narra inquieto di una misteriosa popolazione del luogo che avrebbe distrutto le navi di Ulisse e divorato i suoi marinai. E finalmente  la nave e il suo provato equipaggio riposano al sicuro davanti alla case buie di Elefantaria. Ma le acque sono diventate nere. Ed è notte quando qualcuno sogna l’oneraria inghiottita dai flutti e scorge riemergere le larve dolenti di marinai che non trovano pace” (1)

Ph. Paolo Marras
Ph. Alberto De Lena
Ph. Alberto De Lena
Ph. Alberto De Lena

Così scrive Giuseppe Luigi Nonnis nell’ultimo capitolo del suo libro Marinai sardi nella flotta di Roma antica, narrando di un periplo immaginario della Sardegna compiuto in epoca imperiale da un’unità della flotta del Miseno, flotta che aveva il compito di garantire la sicurezza delle rotte commerciali che si stendevano fittamente sul Mar Tirreno. In questo brano è rievocata tutta l’inquietudine dei marinai che in quei tempi antichi erano costretti a doppiare le Bocche di Bonifacio, quasi perennemente battute dal maestrale, allora come nel nostro tempo capace di scatenare mareggiate della durata di intere settimane. Lo sanno bene i teresini o sarebbe meglio dire li lungunesi, essendo Lungoni la derivazione dell’arcaico Longonis, l’antico nome di Santa Teresa di Gallura, le cui origini vanno ricercate appunto in età romana, quando assieme a Portus Tibulae, l’odierna Capo Testa, era un fiorente centro portuale posto a metà strada della rotta che collegava Roma alla penisola iberica. Già fenici e cartaginesi frequentarono questo tratto di mare e chissà, forse prima di loro anche gli achei omerici. Molti, infatti, pongono dove oggi si trova Palau, Telepilo Lestrigonia ovverosia Lestrigonia Porta Lontana, che fu secondo Omero il paese di quei giganti cannibali che avrebbero fatto strage dei compagni di Ulisse. Leggende a parte fu però con la conquista romana della Sardegna, strappata al dominio cartaginese nel 238 a. C., che i traffici attraverso lo stretto che divide la Sardegna e la Corsica ebbero un incremento mai visto e che probabilmente rimane insuperato. Come scrivono Celuzza e Rendini a proposito dei traffici della metà del II sec. a. C : “Il dilagare del vino italico sui mercati trasmarini dell’occidente [Mediterraneo] fu talmente notevole che da un punto di vista quantitativo non sarà più eguagliato fino al sorgere dei traffici con le Americhe nel XVI secolo.”(2)  E quando si parla di Mediterraneo Occidentale si intendono la Francia, la Spagna e l’antica Mauretania (attuale Magreb). Si intuisce perciò l’importanza della Sardegna e delle Bocche di Bonifacio come punto di passaggio e snodo di questi traffici.

Le navi mercantili romane, spinte da vele, talvolta da remi, solcavano il mare preferibilmente  sotto costa. I prodotti trasportati erano diversi: grano, vino, olio d’oliva, olive, salsa di pesce ecc.  Unico in tutti i casi era l’imballaggio di questi prodotti, il recipiente che li conteneva, l’anfora, che potrebbe essere definita come il “container” dei tempi antichi. Se uno dei periodi di maggior traffico nel Mediterraneo Occidentale fu tra il II ed il I sec. a. C, con lo smercio verso la Spagna e la Francia del vino italico, in età augustea si registrò un decisivo cambiamento: le regioni del Mediterraneo Occidentale da importatrici divennero esportatrici di prodotti verso quel grande ventre consumatore che era divenuto Roma.Cambiamento testimoniato “anche dai carichi dei relitti” giacché, “fino al I sec. a. C. quelli rinvenuti lungo la costa della Narbonese contenevano principalmente anfore italiche dirette verso il mercato gallico e spagnolo, mentre dal I secolo in poi, specialmente in età augustea, le anfore spagnole sono le più attestate nei carichi delle navi naufragate all’altezza dello stretto tra Sardegna e Corsica, lungo le coste della Gallia e del litorale tirrenico.”(3)

La provincia romana della Betica, situata nella Spagna meridionale, divenne in quel periodo una delle più grandi produttrici di olio d’oliva, tanto che anche Strabone ricordava come a Pozzuoli arrivassero da quella regione numerose navi cariche d’olio. Il momento di maggiore espansione del commercio dell’olio betico si ebbe intorno al II sec. d. C, con lo stanziamento di compagnie commerciali rette da ispanici nei porti principali dell’impero. Occorre ricordare che la distribuzione gratuita di olio alle plebi romane era una delle più importanti esigenze degli imperatori, che potevano così accattivarsene i consensi. All’inizio del III sec., infatti, la maggior parte dell’olio proveniente dalla Betica veniva convogliato nella capitale, a seguito dell’esigenza dei Cesari di quantità sempre maggiori di prodotto da distribuire. Il trasporto dell’olio veniva curato da negotiatores e mercatores oleari per conto dello stato. Si è calcolato che la capitale dell’impero in questo periodo consumasse 25 000 tonnellate annue di prodotto. E la maggior parte di quell’olio (che avrebbe rifornito Roma ininterrottamente dal I al IV sec. d.C) veniva proprio dalla Spagna passando attraverso le Bocche di Bonifacio, la rotta più breve. Ma non era solo l’olio d’oliva a transitare davanti alle nostre coste. La Betica era nota anche per la lavorazione del pesce, tanto da avere il primato anche in questa attività. Tra i diversi tipi di salse e conserve di pesce il più apprezzato era il garum, ottenuto dalla macerazione delle interiora dei pinnuti poi amalgamate ad aromi vegetali in un complesso procedimento. Dalla Tarraconese (Spagna centro-settentrionale) veniva poi gran parte del fabbisogno di vino. I vini più rinomati di tutta la Spagna erano quelli del lauro e delle Baleari.

Insomma allora ci doveva essere un gran via vai di legni davanti ai lidi galluresi. La navigazione era però poco sicura e questo a causa sia dei timoni che avevano una scarsa manovrabilità, sia per la pirateria che era diffusa e molto insidiosa; ma il pericolo maggiore erano senza dubbio le tempeste, sopratutto quando le onerarie, era questo il nome delle navi da trasporto romane, si trovavano in prossimità della costa. “Molte navi” scrive il Mari “a causa delle tempeste naufragavano, altre per salvarsi venivano alleggerite del carico che veniva gettato fuoribordo.” “Talvolta” continua “le onerarie, nonostante una navigazione tranquilla, venivano liberate dal carico perché deteriorato, oppure in altre circostanze un cattivo stivaggio causava la rottura di molti contenitori e anche questi finivano in mare.”(4) Il forte maestrale che spira sul nord Sardegna, unito agli scogli affioranti e semi sommersi che punteggiano lo stretto di Bonifacio in prossimità della costa sarda, dovettero colare a picco molte navi. Il reperto più diffuso nei nostri fondali era senza dubbio l’anfora. Pur costruita in varie tipologie, secondo le zone di origine ed il contenuto a cui era destinata, essa era sempre in terracotta grezza. Con l’avvento del turismo di massa che ha preso d’assalto le nostre coste fin dagli anni 50′, questi reperti sono stati in massima parte saccheggiati. Non è affatto raro però, per chi si immerge lungo i nostri litorali, imbattersi in accumuli frammentari di anfore, a volte consistenti. Si tratta in massima parte di cocci rapportabili alla forma di anfora più utilizzata a quei tempi per il trasporto dell’olio Betico: la Dressel 20, che prese il nome dall’archeologo tedesco che per primo le catalogò nella sua tabella (la Tabella Dressel appunto) e ne studiò le iscrizioni e il contenuto. Di forma sferica e massiccia pesava a vuoto  circa 23 kg e poteva trasportare anche 70 litri di prodotto.(5)  Se molti di questi siti furono certamente luoghi di naufragio, altri dovettero essere punti di approdo, scelti da quegli antichi naviganti per rifornirsi d’acqua dolce. I rifornimenti d’acqua potabile erano così importanti per i marinai  che nelle antiche istruzioni nautiche date agli equipaggi, i punti di rifornimento erano sempre indicati. Uno di questi documenti è giunto fino a noi col titolo di Stadiasmo o Periplo del Mare Grande. Risale al I secolo d.C ed è diviso in quattro sezioni in cui vengono descritte in dettaglio le coste del Mediterraneo Orientale.(6)

Purtroppo non ci rimangono documenti simili che descrivano la navigazione intorno alla Sardegna. Il Nord della Sardegna ebbe in età romana porti e città. I più rinomati furono certamente Turris Libisonis (l’attuale Porto Torres) e Olbia. Sulle Bocche di Bonifacio erano di una certa importanza Portus Tibulae  e  Longonis.

Per quel che riguarda Tibulae “la sua posizione era delle più felici” scrive il Mattioli “sia strategicamente che commercialmente, poiché dominava le Bocche di Bonifacio, era a breve distanza dalla Corsica e rappresentava l’ultima tappa per le Baleari, e quindi per la Spagna. Tutto ciò non poteva sfuggire ai romani che ne fecero una testa di ponte per la Gallia e la Spagna.”(7) Quest’importanza è confermata dai numerosi ritrovamenti terrestri e sottomarini. Elementi sommersi di un porto d’ormeggio costituito da una gettata di parallelepipedi e colonne di granito sono visibili nei fondali di Baia Santa Reparata.(8) Intorno al promontorio di Capo Testa inoltre è stato studiato dagli archeologi un importante relitto che trasportava lingotti di piombo. Dalle iscrizioni presenti sulle barre, pesanti fino a 33 kg, si è potuti risalire ai produttori ed al luogo di provenienza: si menzionano, infatti, le famiglie Vtia-Menenia e Atellia (famiglie italiche trasferitesi nella penisola iberica), note per la loro presenza nelle miniere di piombo situate nella Spagna meridionale.(9) Il Piombo, ecco l’altra ambita merce che viaggiava attraverso le Bocche. Un carico ancora più cospicuo è stato ritrovato nel 1999 tra i bassi fondi di Rena Majore. Splendidi lingotti con  incise scene di lotta tra gladiatori hanno sonnecchiato per 2000 anni sotto la sabbia, a pochi metri di profondità, finché una mareggiata non li ha riportati alla luce in una calda giornata d’estate.

Autore: Francesco Pisciottu.

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE

 

  1. G.L. Nonnis, Marinai sardi nella flotta di Roma Antica, Cagliari, 2001, p.196.
  2. M. G. Celuzza, P. Rendini (a cura di), Relitti di storia. Archeologia subacquea in Maremma, Siena, 1991, p. 39.
  3. A. caravale, I. Toffoletti, Anfore antiche. Conoscerle e identificarle, Formello, 1997, p. 118-119.
  4. L. Mari, Le anfore, in Archeosub, supplemento al n. 79 di Sub, mensile di attività subacquee, anno VIII, Giugno 1991, pp. 54-55.
  5. A. Caravale, I. Toffoletti, Anfore antiche, cit., p. 120 e p. 132.
  6. S. Medas, Uomini di mare. L’arte di navigare nel mondo antico, in Archeo, anno XX, num. 8, agosto 2004.
  7. S. Mattioli, La viabilità romana in Gallura, in A. Murineddu (a cura di), Gallura, Cagliari, 1962, p. 103.
  8. S. Gargiullo, E. Okely, Atlante archeologico dei mari d’Italia, vol II, Formello 1993, p. 39-40.